Penso all’ultimo campo di reparto, precisamente alla “giornata lavorativa”. Il gruppo che si era formato con i ragazzi e le ragazze della mia leva era davvero strepitoso: amici da anni, durante l’ultimo anno, quell’anno, eravamo diventati davvero uno squadrone. Compagni di gioie, abbracci e difficoltà, passavamo moltissimo tempo insieme. Ebbene, dopo tutto il pre-campo, i capi ci hanno fatti partire per la famosa e tanto attesa “giornata lavorativa”. Dovevamo scendere in paese, cercare un posto in cui lavorare e approcciarci al servizio e mangiare lì. L’atmosfera era bellissima, cantavamo, giocavamo e agivamo in maniera molto unita. Trovato il posto, ci dividiamo in due gruppi e iniziamo a lavorare e a conoscere gli abitanti del posto. Ho pulito le pesche per fare la marmellata, raccolto erbe aromatiche, tagliato e pulito verdura, dato cibo ad animali e giocato con la piccola Margherita. La meraviglia. Abbiamo lavorato tutto il pomeriggio, senza avvertire segni di noia né stanchezza e ci siamo accorti del tempo trascorso solo tramite i brontolii della nostra pancia. Abbiamo mangiato con i “datori di lavoro” che ci hanno gentilmente offerto cena, salutato tutti e ripreso la strada del ritorno. Faceva freddo e la strada era lunga e in salita. In qualche modo, però, questi fattori non hanno mai rappresentato un problema per noi. Cantavamo, giocavamo, condividevamo sensazioni e sentimenti. Stupendo. Tornando abbiamo anche incrociato una macchina, che però non ci ha proposto un passaggio anche se ci ha visti affaticati. Ebbene, anche questo è stato solo positivo per noi, abbiamo avuto tempo per noi, per continuare a stringere i nostri rapporti. Arrivati al campo, abbiamo assistito in incognito al fuoco del reparto e montato la tenda in cui avremmo dormito. Sì, in quella tenda avremmo dovuto dormire, stando alle indicazioni dei capi, ma eravamo ignari del fatto che quella sarebbe stata per noi la notte della totemizzazione. Ma questa è un’altra storia.